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#1 QUANTO INCIDE IL CONSUMATORE?

  • Immagine del redattore: CTZN eu
    CTZN eu
  • 5 ott 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

Hi reader,

oggi voglio parlarti di un argomento sempre più presente nel dibattito contemporaneo e sempre più importante per le nostre vite: la crisi climatica. L’urgenza di prendere delle decisioni che risolvano la crisi o almeno limitino i danni ormai già permanenti al nostro pianeta è sempre più pressante, e il primo modo che abbiamo noi cittadini per avere un ruolo attivo è parlarne, per cercare soluzioni innovative e per far sentire la nostra voce a chi ha il potere di intervenire in maniera sostanziale.


La consapevolezza che l’ecosistema stia peggiorando a partire dalla rivoluzione industriale e dall’uso in massa delle macchine è ormai consolidata. Addirittura all’inizio degli anni ‘90 i ricercatori di alcune compagnie petrolifere, come la Shell e la ExxonMobil (Esso in Italia), avevano scoperto che se avessero continuato a produrre e a consumare come stavano (e ancora stanno) facendo saremmo andati incontro ad una catastrofe. Nel 1991 i ricercatori della Shell avevano persino realizzato un video divulgativo per spiegare il cambiamento climatico e avevano previsto tutto ciò che sta accadendo in questi ultimi anni, ma l’avidità e l’irresponsabilità dei manager di allora prevalsero sul buon senso, e queste ricerche finirono insabbiate.

Le cose sono continuate a peggiorare, tanto che ad agosto 2021 l’ONU ha dichiarato che abbiamo raggiunto il limite e che le conseguenze del cambiamento climatico sono irreversibili. Ma adesso le aziende hanno cambiato strategia: al posto di insabbiare la verità, sfruttano la pubblicità per sviare l’opinione pubblica e far pensare che la responsabilità ricada esclusivamente sui consumatori. Sempre più aziende, infatti, sviluppano spot pubblicitari a tema ambientale in cui sottolineano l’importanza dei gesti che il consumatore deve fare per ridurre l’impatto ambientale, facendo intendere che in questo modo si possa risolvere tutto (e alcuni sono anche interessanti, divertenti ed effettivamente utili, come questo). Ad esempio, leggi la descrizione di uno spot della Coop del 2020 qui sotto:



Ma non è così semplice. Certo, ognuno di noi è responsabile del mondo in cui vive, ma è davvero una strategia efficace lasciare nelle mani del singolo consumatore tutta questa responsabilità?


Negli ultimi tempi siamo sempre più sensibili all’ambiente e alla sostenibilità dei nostri atteggiamenti in quanto consumatori. Fin dalle elementari ci insegnano a chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti, a tenere le finestre chiuse quando ci sono i termosifoni accesi, a spegnere le luci quando si esce dalle stanze, e cosa più classica a fare la raccolta differenziata. Sono tutti accorgimenti importanti, eppure manca qualcosa. Ogni volta che incontro una nuova start up che offre la versione sostenibile dei prodotti usati quotidianamente nel fare le pulizie o nell’abbigliamento, devo affrontare due grandi ostacoli: i miei genitori! Scherzo, non sono loro il problema, piuttosto evidenziano il vero problema. Quando gli chiedo se possiamo provare un panno ecologico, delle pastiglie idrosolubili o altre soluzione ecologiche, mi rispondono sempre che costano molto più di ciò che comprano solitamente. Quando gli faccio notare che sarebbe meglio non comprare gli affettati nelle vaschette di plastica del supermercato mi rispondono che se avessero più tempo sarebbero anche disposti a fare la coda in macelleria e a pensare a comportamenti alternativi per inquinare meno. E i miei genitori non sono gli unici a vederla così, anzi da un sondaggio svolto dall’editoriale Domani è sorto che se da una parte l’86% degli italiani è favorevole alla trasformazione dell’economia in una direzione green e circa il 95% ritiene sia sbagliato che i prodotti sostenibili costino più degli altri, dall’altra solo il 18% ritiene che lo Stato debba obbligare le imprese a trasformare la propria produzione per diminuire l’impatto ambientale.

Tuttavia, il cambiamento climatico è un problema di portata globale, ed è da ingenui pensare che ogni singola persona abbia la disponibilità (economica e di tempo) di scegliere il prodotto che rispetti tutta una serie di requisiti, soprattutto se questo prodotto costa decisamente più dei suoi concorrenti più inquinanti. Negli ultimi vent’anni il potere d’acquisto del dipendente medio italiano non è affatto aumentato, e abbiamo vissuto una crisi economica dopo l’altra, così ravvicinate da sembrare un’unica grande e insormontabile crisi, causando l’aumento del numero di famiglie povere o vicine alla soglia di povertà. Il singolo consumatore che riceve uno stipendio basso o saltuario non può permettersi di rispettare l’ambiente.


Le pubblicità che insistono sulla responsabilità del consumatore di “fare la cosa giusta” non usano una narrativa sana perché questi gesti non sono ciò che fa la differenza in maniera sostanziale. Non è corretto usare la retorica del marketing e dire che le aziende offrono ciò che i consumatori vogliono, perché questo scarica tutta la responsabilità sui consumatori. I consumatori comprano ciò che le aziende offrono e se un’azienda offre un prodotto economico il cui prezzo non rispecchia il giusto compenso per i lavoratori e la cui produzione è inquinante, è quasi certo che la maggior parte dei consumatori lo comprerà lo stesso perché non può fare altrimenti. D’altronde, al supermercato i prodotti più economici non sono obbligati a indicare che “qui sfruttiamo i lavoratori” o “per produrre questo chilo di carne sprechiamo moltissima acqua, comprate da noi per contribuire alla distruzione del pianeta”.

Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Nature nel 2019 ha persino dimostrato che le soluzioni facili e veloci che spesso le “pubblicità progresso” finanziate dalle aziende offrono hanno un effetto controproducente, perché “diminuiscono il sostegno a politiche sostanziali fornendo una falsa speranza che i problemi possano essere affrontati senza costi considerevoli”. Infatti, la narrativa che le azioni dei consumatori bastino a far la differenza non è altro che un enorme placebo, che ci viene venduto come “prevenzione” e “business responsabile” ma in realtà sta diminuendo la probabilità di vedere realmente implementate le concrete riforme che erano necessarie già quarant’anni fa.


Ci vuole quindi un passo in più. Appellarsi all’etica e al senso civico non convincerà le imprese petrolifere a rinunciare volontariamente ai profitti a breve termine derivanti dall’estrazione dei combustibili fossili. Per quanto consapevoli che lottare contro il cambiamento climatico sia importante, la maggior parte dei manager continuerà a investire in attività redditizie, perché sono obbligati da contratto e finanziariamente incentivati a farlo. Se nessuno penalizza questo modo di gestire gli affari, che genera grandi profitti alle spese della collettività e sminuisce il suo impatto ambientale, i manager continueranno ad operare così. Lasciato a se stesso il mercato non risolverà la crescente disuguaglianza o il cambiamento climatico, ma reagirà come ha sempre fatto: cercando di proteggere il profitto a tutti i costi, anche convincendoci che non c’è nulla da cambiare.

Per correggere il sistema, bisogna che chi governa cambi le regole del gioco, e così il comportamento dei giocatori. I consumatori che possono permetterselo fanno un servizio alla comunità nell’acquistare i prodotti sostenibili, ma il resto ha bisogno di un’influenza esogena, ha bisogno di essere attratto dall’acquistare il prodotto giusto. Solo incentivando l’acquisto dei prodotti sostenibili e disincentivando gli altri, i consumatori continuerebbero ad agire secondo le proprie possibilità ma adotterebbero comportamenti più sostenibili.

Lo Stato deve quindi intervenire sulla questione, possibilmente calmierando i prezzi di tutti i prodotti ritenuti idonei per il rispetto dell’ambiente e tassando maggiormente i prodotti altamente inquinanti, in modo da alzarne i costi di produzione e quindi il prezzo per il consumatore. Solo così, interiorizzando le esternalità negative nel prezzo del prodotto finale, si può modificare il comportamento delle imprese e obbligarle a rendere la propria produzione sostenibile. Questo perché abbassando la redditività di quei settori e prodotti, i capitali, perseguendo il profitto, si sposterebbero automaticamente su attività più ecosostenibili (e ora più redditizie).


Lo so, detta così sembra tutto semplice e ti chiederai, reader, perché non sia ancora stato fatto. Ma per fare tutto questo servono leader politici competenti e sufficientemente imparziali da concentrarsi su come correggere il sistema piuttosto che sulla propria carriera. Inoltre, il problema è che le lobby delle imprese più inquinanti al mondo sono molto forti, e riescono ad ottenere dei “lasciapassare” per continuare a fare ciò che fanno meglio: guadagnare inquinando. Da quanto emerge da ricerche effettuate da ONG ambientaliste europee, le cinque compagnie più importanti del settore (BP, Shell, Chevron, ExxonMobil e Total) hanno investito tra il 2010 e il 2018 più di 251 milioni di euro per fare pressione sulla Commissione europea e poter continuare ad avere finanziamenti sul gas naturale, un idrocarburo composto per oltre il 90% da metano. A prova di ciò, sono riuscite ottenere anche che la Banca Europea per gli Investimenti bloccasse la proposta di escludere tutte le fonti fossili di energia dai suoi programmi di investimento.


Ma non disperiamoci: il primo passo per migliorare la situazione è totalmente in nostro potere, perché il cambiamento politico e sociale parte sempre dall’opinione pubblica. La crescita della consapevolezza sulla crisi ambientale ha già portato a grandi risultati, perché la politica e le aziende si stanno sempre più interessando a diventare (o almeno a mostrarsi) eco-friendly per accaparrarsi il favore del pubblico. Ma questo non basta, perché non possiamo più chiudere gli occhi sulla responsabilità delle imprese nel cambiamento climatico e pretendere che i consumatori da soli siano in grado di modificare l’andamento dei mercati. La consapevolezza della cittadinanza sul proprio ruolo non deve più riguardare solo i propri comportamenti privati (anche in quanto consumatori), ma deve diventare anche una consapevolezza politica: abbiamo un ruolo collettivo fondamentale nel cambiare la narrativa sulla crisi climatica e spingere i nostri rappresentanti ad agire a livello sistemico per modificare il comportamento delle grandi multinazionali, che inquinano più di tutti ma che proprio per questo hanno la capacità, se costretti, di fare un’enorme differenza in questa lotta contro il tempo per la sopravvivenza nostra e del pianeta.


E tu, reader, che cosa ne pensi? Questa nostra breve analisi ti convince? O ritieni che ci siano elementi che non abbiamo trattato o visioni che non abbiamo considerato? L’argomento è molto complesso, ma speriamo che questo articolo possa servire come spunto per farti riflettere sull’argomento e dirci la tua lasciando un commento qui, mandandoci un’e-mail con le tue riflessioni oppure commentando sotto al post relativo nei nostri profili social.

Grazie per l’attenzione,

Maria Chiara Bodda

Mail: ctzn.eu@gmail.com

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Twitter: @ctzn_eu


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