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#2 CAMBIAMENTI ALLA COSTITUZIONE

  • Immagine del redattore: CTZN eu
    CTZN eu
  • 22 mar 2021
  • Tempo di lettura: 8 min

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Hi reader,

oggi il team di CTZN.eu ha una sorpresa molto speciale per te: il primo contributo esterno al nostro sito! La nostra ospite si chiama Diletta Blangero ed è una studentessa al corso di laurea in Comparative European and International Legal Studies all’Università di Trento. Già pubblicata dalla European Law Student Association di Trento, oggi ci ha prestato la sua voce per una riflessione sul concetto di Costituzione come legge suprema ma anche come presupposto del nostro stile di vita, e sullo spinoso quesito se sia giusto modificare le Costituzioni in base alle esigenze del tempo o se sia necessario lasciarle immutate. Buona lettura!


Nel settembre 2020, dopo una primavera assolutamente inedita e un’estate altrettanto fuori dal comune, il mondo della politica italiana si è preso qualche giorno di pausa dalla crisi del Covid-19 per rivolgere la sua attenzione ad un altro appuntamento atteso e rimandato da mesi: il Referendum costituzionale sul taglio del numero di Parlamentari. Il suo obiettivo è spiegato in modo esaustivo negli articoli a riguardo di CTZN.eu (che puoi trovare qui o sul nostro sito). Un terreno di facile scontro tra partiti, un evento da commentare tra telegiornali e talk show, uno spunto di discussione che ha diviso l’opinione pubblica, ma soprattutto l’ennesima questione sorta attorno alla stessa domanda: cambiare la Costituzione, oppure dare fiducia al suo testo originale?

Certamente suonerà banale, ma temo sia inevitabile dire che la Costituzione (e non solo quella italiana) è al contempo uno degli elementi su cui più si fonda la nostra vita quotidiana e una parte del nostro stile di vita che più diamo per scontato. Si discute su larga scala di Costituzione soltanto in circostanze rare, e soprattutto in circostanze come quelle di un Referendum, nel momento in cui è essa stessa ad essere messa sotto esame; per il resto rimane lì, sappiamo che esiste e che si tratta di qualcosa di fondamentale ma non possiamo vederla né toccarla. Noi viviamo la Costituzione, dentro la Costituzione e in base alla Costituzione, e questo la rende al contempo straordinaria e molto ordinaria: siamo, soprattutto tra i più giovani, abituati alla sua presenza, iniziamo a conoscerla da molto piccoli e forse alla fine la releghiamo in uno di quegli scompartimenti della nostra memoria dove stanno le cose che raramente avremo bisogno di rispolverare di nuovo, perché raramente avremo bisogno di discuterle o contestarle.

Per prendere in prestito da Norberto Bobbio un’espressione a mio parere molto efficace, la Costituzione sono “le regole del gioco”; è l’intrico di pali di legno che sta alla base della palafitta, le basi della nostra vita all’interno di questo sistema. E potrebbe mai essere un atto sensato provare a scuotere queste fondamenta?

In questo caso, rivolgere per un attimo lo sguardo al passato potrebbe esserci utile come punto di partenza per tentare di capire se le Costituzioni siano davvero nate per rimanere incise nella pietra o se siano fatte proprio per essere, un giorno o l’altro, modificate. La maggior parte delle Costituzioni del mondo occidentale sono state promulgate in seguito e come reazione ad eventi storici sconvolgenti e rivoluzionari per la nazione che li aveva vissuti e per i suoi cittadini: quella statunitense si è formata dopo la guerra d’indipendenza, negli anni 80 del XVI secolo; quella italiana ha visto la luce tra il 1947 e il 1948, mentre il Paese lentamente tentava di riprendersi dalla Seconda Guerra Mondiale e dal ventennio fascista; quella tedesca per come la conosciamo oggi è nata in seguito alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e alla riunificazione delle “Due Germanie”, e così via. Il filo rosso che unisce tutti questi esempi? Nazioni e popolazioni che lentamente riemergevano dal trauma, che contavano i loro morti, le macerie, i danni alle loro economie, e che ricercavano disperatamente la tranquillità necessaria a lenire le proprie ferite. Cercavano dei punti fissi, e forse avevano bisogno di concepire le loro nuove Costituzioni come dei documenti scolpiti nella pietra, perché i principi in esse contenute – l’uguaglianza di tutti gli individui di fronte alla legge, lo stato di diritto, il rispetto della libertà e della dignità umana, etc. – dovevano essere alla base di un mondo nuovo, abitato da nuovi cittadini che si ripromettevano di non ripetere mai più gli errori dei loro predecessori. Quasi tutte queste Costituzioni sono state scritte da menti eccellenti, da studiosi e statisti scelti non solo per il loro curriculum ma soprattutto per la fiducia che le persone avevano riposto in loro, e sono state scritte per durare. Sono state poste in cima alla piramide delle fonti del diritto in quanto “leggi straordinarie”, apposite istituzioni sono state create per proteggerle, e così le fondamenta per la costruzione dei moderni sistemi legali sono state gettate.

Sistemi estesi, sistemi complessi, non dei palazzi ma dei grattacieli. E ancora una volta potrebbe venire spontaneo domandarsi: è davvero saggio tentare di scuotere un grattacielo dalle sue fondamenta?

Se ci limitassimo ad osservare ciò che hanno da dirci la storia e le origini delle principali Costituzioni attualmente in vigore, la risposta più sensata sarebbe, io credo, un no: se una Costituzione è stata promulgata in modo da offrire un porto sicuro ad un Paese che sta ancora facendo i conti con i danni causati dalla tempesta, che senso potrebbe mai avere, nel giro di qualche decina di anni, rimettere in discussione le sue norme e far ripresentare nuovamente ogni incertezza?

La verità, tuttavia, è che per riuscire davvero a comprendere il fenomeno complesso delle Costituzioni non è sufficiente focalizzarsi sulla loro dimensione passata e sul come siano nate, ma occorre analizzare altrettanto bene la loro dimensione futura. Che cos’è, oltre alle norme scritte su carta, oltre ai principi di alto livello legale e morale, a fare davvero una Costituzione? Rispondere a questa domanda è piuttosto semplice, e per farlo ci basta ricordare brevemente ciò che è stato detto all’inizio di questa riflessione: la Costituzione è una nostra abitudine, è la cornice entro cui viviamo ogni giorno quasi senza rendercene conto; dunque, si potrebbe dire che a fare una Costituzione siamo innanzitutto e soprattutto noi, i cittadini. Una Costituzione è un dono, un dono delle generazioni precedenti, che tramite i loro rappresentanti hanno deciso di tramandare ai posteri nella speranza che essi potessero vivere in un mondo privo di odio, di guerre, di discriminazione. Una Costituzione è l’esempio concreto di quello che Bernard Werber intendeva dicendo che “occorre accettare di seminare perché altri raccolgano altrove e più tardi”: i padri e le madri costituenti seminano, lasciano crescere, ma poi diventa compito delle generazioni future mantenere in vita la loro creatura, far sì che il terreno non inaridisca una volta che sono scomparsi coloro che per primi lo hanno coltivato.

Mantenere vivo l’amore per una Costituzione non è semplice: è come mantenere vivo il rapporto con un membro della propria famiglia, qualcuno che amiamo ma che non abbiamo scelto, che fa indissolubilmente parte della nostra vita ma che proprio per questo a volte ci risulta di troppo o vorremmo fosse diverso. Eppure è l’unico modo davvero efficace di tenerla in vita: lo sanno bene in Germania, dove dai tempi dell’entrata in vigore della Grundgesetz, la “Legge Fondamentale”, le istituzioni hanno sempre spinto per educare la popolazione al Wille Zur Verfassung, che dal nome potrebbe sembrare una corrente di pittura ottocentesca ma in realtà si traduce come “patriottismo costituzionale”.

Donandoci il frutto del loro lavoro, i costituenti hanno fatto un atto di fede e hanno dato a tutti noi la responsabilità di “far camminare le loro idee sulle nostre gambe”, di farle vivere attraverso gli anni rendendole parte di noi. Ed è forse concentrandoci su questo aspetto in particolare che possiamo riuscire a scorgere quale sia l’altro volto di una Costituzione: un documento che serve a dare certezze e punti fermi dopo anni di turbolenza politica e sociale, certo, ma anche un qualcosa di vivo, che va fatto crescere e cambiare insieme alla popolazione che ha il compito di rappresentare. Forse, ingabbiando una Costituzione nella sua forma originaria e non lasciandole lo spazio necessario per evolversi non si farebbe altro che condannarla a morte e impedirle di svolgere la sua prima e più profonda funzione: dare voce a “we, the people, a tutti i cittadini, quelli che vivevano nel momento in cui è stata discussa e promulgata, quelli che vivono oggi e quelli che vivranno nel futuro; innumerevoli generazioni che la carta costituzionale deve mantenere unite dagli stessi valori, i valori del loro Stato, ma che forse avranno esigenze diverse, modi diversi di guardare il mondo, le istituzioni, i diritti e i doveri del cittadino, occhi diversi da rivolgere alla loro Costituzione in cerca di una guida.

Le Costituzioni, dunque, sono effettivamente fenomeni complessi, che coniugano in sé due aspetti opposti. Viene spontaneo, a questo punto, rivolgersi un’ultima domanda: qual è il destino che deve attenderle, l’essere poste in una teca e mai più toccate, oppure l’essere fatte scendere dal piedistallo e messe in discussione?

Quasi tutti i moderni sistemi legali rispondono a questo dilemma nello stesso modo, e adottando la stessa strategia: con equilibrio. Ci sono parti della Costituzione, quelle che dettano i diritti fondamentali degli individui, che definiscono la forma di governo, che delineano i principi fondamentali in base a cui occorre orientare la vita quotidiana, che sono impossibili o quasi impossibili da modificare: in Italia questa sorta di “bolla protettiva” riguarda i primi dodici articoli, dai quali non si può derogare in alcun modo, mentre in altri ordinamenti nessun precetto della Costituzione gode dell’immunità totale, ma modificare le norme più importanti è estremamente difficile, occorrono lunghissime procedure e il consenso unanime di cittadini e istituzioni. Altri articoli, relativi agli aspetti più tecnici del funzionamento e della vita democratica dello Stato, possono invece essere cambiati, in modo da adattarsi alle circostanze attuali che di anno in anno cambiano e che quasi certamente non sono le stesse di quando la Costituzione è stata promulgata. Tentiamo di chiudere il cerchio e prendiamo come esempio il Referendum sul taglio dei parlamentari che ci ha portato alle urne nel settembre 2020: indipendentemente dall’opinione che ciascuno di noi può essersi fatto in merito, penso si possa affermare senza troppa esitazione che l’impostazione e la composizione delle due Camere del Parlamento rispecchi l’immagine di un’Italia che non esiste più, un’Italia, ad esempio, dove il Senato era il palcoscenico riservato alle rappresentanze locali, quasi l’unico luogo dove esse potessero avere spazio.

Se quindi mi viene domandato: è stata una buona scelta, ed è in generale una buona scelta quella di modificare la Costituzione? Io rispondo di . La Costituzione italiana, così come tutte le sue equivalenti in ogni parte del mondo, è una creatura viva e va mantenuta tale, può essere modificata e ammodernata senza che perda la sua autorità, perché la Costituzione in fondo sa badare a sé stessa e ha stabilito da sé quali sono i limiti che non si devono superare nel tentativo di emendarla. Tuttavia, è cruciale tenere a mente, quando si propone una revisione, che si sta proponendo di modificare l’elemento portante e al contempo più delicato dell’intero sistema legale: pertanto, bisogna essere ben sicuri che i cambiamenti apportati siano delineati in modo chiaro e comprensibile (cosa che, forse, non è davvero avvenuta nel caso dello scorso Referendum), considerando quali saranno le conseguenze (in questo caso specifico, uno sconvolgimento dei già precari equilibri della rappresentanza parlamentare) e predisponendosi a fare tutto il possibile (e quindi, ad esempio, elaborare una riforma del sistema elettorale adeguatamente efficace) perché l’intero sistema legale sappia adattarsi al cambiamento e rispondere meglio alla sfida che un emendamento, così come fanno tutte le novità, presenterà in futuro.


Che impressione ti ha dato leggere questa riflessione, reader? Credi sia giusto cambiare una Costituzione o pensi che bisogni preservarla al di là degli interessi politici temporanei? Quali sono le modifiche che vorresti apportare alla tua Costituzione per rendere il tuo Paese un posto migliore?

Faccelo sapere lasciando un commento qui, mandandoci un’e-mail con le tue riflessioni oppure commentando sotto al post relativo nei nostri profili social.


Grazie per l’attenzione,


Diletta Blangero

Instagram: @_ctzn.eu_

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