#3 AMERICA 2020: UNA LEZIONE SULLA DEMOCRAZIA
- CTZN eu
- 3 mag 2021
- Tempo di lettura: 7 min
Hi reader,
oggi voglio parlarti di Stati Uniti, elezioni e democrazia. Mettere nero su bianco una riflessione non sempre è un lavoro facile, e in tutte le occasioni nelle quali, in passato, mi sono trovata a svolgere questo compito, ho sempre cercato di semplificare il processo seguendo un percorso semplice: esporre i fatti e dare la mia opinione. La storia che sta dietro la riflessione, la sua genesi, il percorso che ha compiuto nella mia mente, non ho mai ritenuto che fosse importante renderli noti, ma per questa volta permettimi di fare un’eccezione.
Permettimelo perché la scrittura di questo pezzo, che avevo cominciato ad imbastire alla fine dello scorso anno e che inizialmente avrei voluto intitolare “America 2020: una lezione di democrazia”, non poteva non venire intaccata dagli eventi che il 6 gennaio 2021 hanno coinvolto proprio gli Stati Uniti, i suoi cittadini e le sue istituzioni, e che hanno tenuto incollati ai notiziari ascoltatori da ogni parte del mondo. Anche prima che i drammatici fatti di Capitol Hill (di cui si è ampiamente discusso altrove e di cui puoi trovare un riassunto qui:Assalto Congresso - Wikipedia) prorompessero sulla scena mondiale in tutta la loro brutalità, ero consapevole che sentenziare “Queste ultime elezioni oltreoceano ci danno una lezione di democrazia che meriterebbe di stare sui libri di storia!” avrebbe potuto farmi suonare piuttosto esagerata: le elezioni presidenziali USA del 2020 sono certamente state uniche nel loro genere (perché si sono svolte nel mezzo di una crisi sanitaria di proporzioni a memoria di tutti noi inimmaginabili, perché hanno implicato un utilizzo esteso e massiccio del voto per posta, perché per la prima volta nella storia del Paese hanno portato all’elezione di una donna come Vice Presidente), ed è certo che ci ricorderemo di loro ancora per molti anni a venire, ma alla fine rimangono elezioni, qualcosa di apparentemente normale e fisiologico nel funzionamento di un sistema democratico, non qualcosa di singolare o anomalo da studiare al microscopio.
Ma se anche prima avrei potuto suonare esagerata, dopo aver visto quelle immagini terrificanti, di cittadini che negando proprio la validità del voto si accanivano contro i loro compatrioti, commettevano violenze e sfregiavano le istituzioni del loro Stato istigati da quello che ritenevano dovesse essere il legittimo Presidente (e che in quel momento era ancora a tutti gli effetti l’uomo più potente di uno dei Paesi più potenti al mondo), quelle immagini che hanno fatto il giro del globo e a cui chiunque ha reagito pensando “Questa è la morte della democrazia”, a quel punto mi è sembrato di ritrovarmi per le mani una vera e propria missione impossibile.
Per alcuni giorni anche io ho pensato di aver assistito all’esecuzione in diretta televisiva di qualunque ideale che avesse mai ispirato i sistemi occidentali dal momento della loro nascita, e anche quando ho recuperato un briciolo di ottimismo mi sono detta che, dopo tutta quella insensata violenza e quello sfogo brutale di odio, non avrei mai potuto far passare le elezioni statunitensi del 2020 come un esempio di democrazia.
Pensandoci meglio, però, ho deciso di continuare con quest’idea in mente: che, forse, quanto accaduto oltreoceano può comunque considerarsi come una lezione, ma una lezione sulla democrazia invece che di democrazia. Questi avvenimenti hanno riportato alla nostra attenzione qualcosa che forse avevamo dimenticato, di cui non ci eravamo resi del tutto conto riguardo alla nostra forma di governo, e questo a mio parere è sempre un bene perché le ha evitato il destino che purtroppo spesso tocca a molti aspetti delle nostre istituzioni: essere dati per scontati e mai approfonditi come si deve.
Per capire quale sia stato l’elemento della democrazia su cui USA 2020 ci ha portato a riflettere, basta mettere mano ai dati e capire cos’altro ha reso queste elezioni un evento senza precedenti: l’affluenza record alle urne, che coinvolgendo il 66,7% degli aventi diritto (159.633.396 elettori) ha toccato il picco più alto dagli inizi del secolo scorso. Numeri senza dubbio degni di nota, che sono ancora più sbalorditivi se si pensa che arrivano in un momento di emergenza particolarmente complicato nel quale anche solo uscire di casa per recarsi al seggio non è così scontato. Numeri che dunque dimostrano un desiderio particolarmente forte dei cittadini di far sentire la propria voce e di contribuire a dar forma al futuro del Paese. Numeri così rilevanti da non poter non avere un qualche significato anche sul piano istituzionale, e che infatti sono diventati protagonisti delle parole con le quali, alle 2.40 italiane dell’8 novembre 2020, proprio la neo-Vice Presidente Kamala Harris ha aperto il suo discorso della vittoria. Citando John Lewis, membro del Congresso e attivista per i diritti civili degli afroamericani venuto a mancare a luglio 2020, Harris ha affermato:
« Prima della sua morte ha scritto: “La democrazia non è uno stato, è un atto”. Quello che voleva dire era che la democrazia americana non è scontata. È forte solo quanto la nostra volontà di lottare per lei, di salvaguardarla e di non darla mai per scontata. E proteggere la nostra democrazia è una battaglia. Richiede sacrificio. Ma in essa c’è gioia, e c’è progresso. Perché noi, il popolo, abbiamo il potere di costruire un futuro migliore. »
La democrazia non è uno stato, è un atto.
Forse, oltre alla drammaticità del contesto in cui si sono svolte e dei fatti che le hanno seguite, le presidenziali USA del 2020 ci hanno anche dimostrato con rara chiarezza come persino la democrazia più solida del mondo occidentale, che da decenni esercita un’influenza quasi inarrivabile su molti altri sistemi nazionali, si fondi in fin dei conti sulla stessa base su cui si fondano tutte le altre: sui cittadini. Se questa base non collabora con convinzione, se non partecipa attivamente, se non è una parte attiva dei processi democratici, nessun buon risultato può davvero essere raggiunto.
Ma che cosa significa, nel concreto, quel “buon risultato” che la democrazia può aiutarci a ottenere quando gli individui danno il loro fondamentale contributo? Definire chi sia nel giusto e chi nel torto non è mai facile in situazioni del genere, che sono sostanzialmente delle competizioni che alla fine prevedono un solo vincitore e una serie di sconfitti: ciò che è buono per una parte non rispecchierà mai del tutto ciò che lo è per l’altra, e per ogni persona che gioisce del risultato ce ne sarà qualcun’altra delusa, scontenta, che si domanda se davvero quella scelta condurrà a una situazione migliore. Ciò che io intendo per “buon risultato”, tuttavia, prescinde dalle fazioni e dai nomi dei contendenti: più è alto il numero di persone che partecipa all’attività elettorale del proprio Stato e dà carburante affinché il motore della democrazia funzioni a pieno regime, più l’immagine del Paese che emerge al termine del voto si potrà considerare fedele alla realtà e quindi utile per programmare le azioni future della politica. Aiutare un sistema democratico a esprimersi in tutto il suo potenziale significa contribuire ad un’analisi veritiera di quali siano i problemi da affrontare che porti ad interventi mirati ed efficaci.
E quale esempio più lampante delle elezioni presidenziali USA 2020, una vera e propria maratona, una lotta all’ultima scheda, con risultati discussi e ridiscussi, controllati e ricontrollati, incerti fino all’ultimo come non accadeva da vent’anni esatti (da quando Al Gore perse per una manciata di voti con George W. Bush nel 2000). Questo andamento burrascoso e continuamente sul filo del rasoio, conclusosi con una feroce contestazione dell’esito dello scrutinio, avrebbe tutta l’aria di essere un elemento puramente negativo di questo capitolo della storia statunitense – soprattutto dal momento che è sfociato nella violenza. Tuttavia, come un termometro perfettamente funzionante, ci ha restituito un quadro della situazione nazionale più chiaro di quanto qualunque previsione, sondaggio o opinione di esperto avrebbe mai potuto: dopo tanti esempi di vicende che durante quell’anno tormentato avevano fatto percepire tensioni interne crescenti e sul punto di esplodere, ecco arrivare i numeri stessi a testimonianza del fatto che gli Stati Uniti sono, ad oggi, un Paese estremamente diviso.
Si tratta di una buona notizia? Non secondo i nostri normali parametri di giudizio, e di certo si tratta di una notizia che mette inquietudine dal momento che riguarda direttamente uno Stato di tale rilevanza sul piano internazionale, e che questa divisione ha finora trovato modi di sfogarsi più cruenti che diplomatici. Ciononostante, accorgersi di un problema e accettare che esista è sempre il primo passo per risolverlo (si ha, quantomeno, un elemento da cui partire, su cui basare la propria linea futura), e credo non sia un caso che, dopo la rocambolesca serie di eventi terminata con la sua elezione, Joe Biden si sia assunto pubblicamente l’impegno di essere “il Presidente di tutti gli Americani”, probabilmente consapevole del fatto che guarire le profonde ferite del suo Paese sarà per lui la prima e la più faticosa delle sfide da mettere in agenda.
Se questo “buon” punto di partenza condurrà, alla fine, ad un punto di arrivo altrettanto “buono”, solo il tempo potrà rivelarcelo. Tuttavia, la sua presenza ci dimostra come la democrazia, se si esprime al suo massimo potenziale e se può contare sulla forza propulsiva di un ampio contributo popolare, possa essere davvero quell’anello di congiunzione, quel canale di comunicazione attraverso cui i cittadini possono esprimere i loro desideri, i loro bisogni, le loro priorità alle istituzioni. La democrazia è da sempre, per sua natura e per sua definizione, il sistema della vox populi (“la voce del popolo”). Ma, forse, la vera lezione che a conti fatti queste presidenziali statunitensi ci hanno dato sulla democrazia è che questa voce, per dire davvero le cose come stanno nonostante la realtà possa a volte sembrare spaventosa, ha bisogno che il maggior numero possibile di bocche le dia fiato.
La democrazia non è uno stato, è un atto, e forse, quando in un’epoca per molti versi differente Winston Churchill affermava «È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora», non voleva tanto muovere una critica quanto ricordarci che, come ogni altro prodotto umano, la democrazia non è perfetta né illimitata, perché il suo potere dipende da quelle creature estremamente imperfette che sono le persone.
America 2020 ci ricorda, secondo me, che – parafrasando un altro illustre Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy – dovremmo iniziare a domandarci non solo che cosa la nostra democrazia possa fare per noi, ma soprattutto che cosa possiamo fare noi per la nostra democrazia. E se una risposta possibile a questa domanda è “potremmo iniziare a parlarne, a discuterne, a ragionarci su”, allora sei nel posto giusto, reader, e mi auguro che questa mia riflessione, per quanto complessa e forse un po’ tortuosa, possa aiutarti a fare proprio questo.
Che cosa pensi della riflessione esposta? Ci sono aspetti che dovrebbero essere approfonditi? Credi che attorno a te la democrazia sia viva o data per scontata? Faccelo sapere lasciando un commento qui, mandandoci un’e-mail con le tue riflessioni oppure commentando sotto al post relativo nei nostri profili social.
Grazie per l’attenzione,
Diletta Blangero
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